Velva, appennino ligure affacciato sul mare, è un piccolo paese spopolatosi quasi completamente nel corso del Novecento. Oggi sta vivendo un inatteso ripopolamento, fatto di persone di provenienze, storie e percorsi eterogenei, apparentemente contraddittori. Esiste un filo rosso che li unisca? Esista la possibilità di un cambiamento?

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Velva è un piccolo paese a trenta minuti di curve dal golfo del Tigullio, nella Liguria di levante, sullo spartiacque tra la val Petronio e la val di Vara. Dagli anni Cinquanta la sua popolazione si è ridotta moltissimo, cedendo sempre più abitanti alle industrie di Genova, Sestri Levante, Riva Trigoso. Relegata al ruolo di frazione marginale per una frequentazione quasi soltanto estiva, Velva ha preso la via dei tanti centri dell'Italia interna: case in vendita, il bosco a invadere terre prima coltivate, una popolazione sempre più ridotta e anziana, un po' più di presenze solo nel mese di agosto.















Il 2020 ha però visto un'impennata inattesa di nuovi residenti per lo più stabili, ben 26 che si sono aggiunti ai circa 140 rimasti. Ciò nonostante il covid imperversasse in Italia, o forse anche grazie alla pandemia che ha reso per molti più difficile la vita in città e nei grandi centri abitati della costa e della pianura.



Lo racconta Federica Sala, giovane fotografa brianzola che ha preso le redini dell'azienda agricola del fratello, trasferendosi e imparando a fare il vino: "Quando mio fratello è arrivato, dieci anni fa, di notte si vedevano pochissime luci all'orizzonte, c'era un silenzio assoluto, solo i rumori degli animali che gironzolavano tra i filari e nel bosco. Oggi vedo un grande ripopolamento: stanno venendo nuove persone da fuori, ma anche tanti del posto stanno recuperando i terreni di famiglia. E la sera ci sono moltissime luci!"

Tra i nuovi residenti ci sono giovani coppie, famiglie con bambini, anziani in cerca di tranquillità e professionisti in cerca di uno stile di vita più rispettoso dei ritmi naturali. Una comunità variegata ma in qualche modo coesa, che cerca di invertire un processo di abbandono e migrazione che fino a pochi anni fa appariva irreversibile.





"Con Susanna, Giulietta e Marianna vivo in questo ettaro di terra tra il bosco e le colline; e laggiù c'é il mare. Questo è uno dei motivi per cui siamo qui. Non siamo nati a Velva: io abitavo a Milano, Susanna è Svizzera e viveva in Cile... Siamo arrivati qui, e qui abbiamo cercato di costruire uno spazio aperto e accogliente, recuperando vecchi edifici dove vivere, pulendo la terra, il bosco, gli uliveti." Antonio Panella, insegnante, attore e regista teatrale non aveva mai vissuto vicino a una sorgente. Dalla terra su cui sorge la sua casa sgorga il torrente Petronio che dà il nome alla valle, e tra gatti e ulivi Antonio sembra trovare la sua energia.



"Sono un architetto. Sono qui a Velva per una serie di circostanze, a cui mi stavo preparando da molto tempo. Sono trentino, originario di un piccolo paese, ma ho vissuto a lungo a Firenze, Milano, Shangai, dove insegno. Anche se le metropoli hanno sempre esercitato un grande fascino su di me, oggi trovo che tantissime attività si possano fare da qualsiasi luogo e il pensiero di ritornare in un borgo, dove c'é la possibilità di avere una relazione più completa con la natura, con le persone, con una comunità, mi affascina moltissimo. Stare qui o a Milano per me è la stessa cosa: sono anzi profondamente convinto che la città dovrà subire un profondo cambiamento, perché non c'é più una vera ragione per viverci. Non è più liberatorio, non è più necessario." Lo spiega Dante Donegani, architetto e designer, oggi residente a Velva.



"L'idea di venire a Velva è nata dal desiderio di Joerg di fare una casa a zero emissioni. Cercavamo un terreno vuoto per fare quello che volevamo: una casa completamente sostenibile. Qui abbiamo avuto la possibilità di sognarlo e realizzarlo. Tra pannelli fotovoltaici, riscaldamento geotermico, una fonte di acque naturali non siamo proprio a zero emissioni, ma in un anno il 70% dell'energia che consumiamo è prodotta da noi, naturalmente." Tania e Joerg hanno vissuto a lungo a Rio de Janeiro, Tokyo, Johannesburg. "Velva mi sembrava lontana dalla vita cittadina, dagli amici... Ho dovuto abituarmi, cambiare le mie abitudini, pianificare maggiormente, modificare il mio stile di vita. All'inizio è stato difficile, ma lo smart working che entrambi pratichiamo da decenni ci ha aiutati. Non è stata la pandemia, è stata una scelta. E siamo stati fortunati."



Rossana e Alberto coltivano terre poco sopra Velva, vicino al valico della Mola. Di Milano lei, di Varese lui. Rossana si è trasferita qui da ragazza con un fidanzato che sognava la vita in campagna. Lui è tornato a Genova, lei è rimasta. Qualche anno dopo a lei si è unito Alberto. "Tanti benefici, tante risorse che ho trovato vivendo qui non le avevo nemmeno immaginate", ci dice. "Venire in un posto come questo, dove devi saperti arrangiare perché ci sono tante difficoltà, lo puoi fare a vent'anni come abbiamo fatto noi. Però i nostri figli sono nati qui, appartengono a questo territorio, dopo anni e anni che non ci nasceva più nessuno", prosegue Alberto. "Da quando sono qui ho visto soltanto persone andarsene, non ho visto nessun ritorno. Solo in quest'ultimo anno, effettivamente, qualcosa è cambiato." aggiunge lei. "Sicuramente è un fenomeno legato al casino della pandemia - continua lui - ma per chi può lavorare in remoto è chiaro che tra farlo in un appartamento a Milano e farlo in una casetta di pietra, che s'affaccia su un prato dove la mattina ci sono i caprioli che corrono, è tutta un'altra cosa. Il lavoro è sempre quello ma lo spirito è diverso!".

Ruggero gestiva il ristorante di un hotel di lusso a Kigali, in Ruanda. Con la moglie Mariolina ha scelto di rientrare in Italia e ha iniziato a cercare uno spazio per avviare una nuova avventura. Lo ha trovato recuperando la vecchia locanda di Velva, cadente e abbandonata. "Forse non abbiamo scelto il periodo migliore per aprire un ristorante, ma sono i casi della vita, e ce la faremo. Ci rendiamo conto che oggi con la nostra attività siamo un punto di riferimento per il paese e chi lo abita. Speriamo di incoraggiare qualcun altro, che altri abbiano la nostra follia e portino altra vita qui, che ci aiuterebbe a fare massa critica. Ma posso confermarlo, c'é un ritorno in atto: 26 nuovi residenti sono tanti, si notano."

Michele è nato a Velva e qui vive con la moglie, lavorando come restauratore e tinteggiatore. "Nei primi anni Duemila, ero un ragazzo, facevo il DJ alla discoteca al valico della Mola: facevamo serate magnifiche, veniva gente da tutto il Tigullio, ci si divertiva. Poi il proprietario del locale ha smesso di farci usare gli spazi: troppi rischi, troppi problemi di sicurezza, qualche rissa. Da quel momento non c'é più stato un locale in zona, un punto di ritrovo per i giovani. Da quando ci siamo sposati abbiamo vissuto a Casarza, ma ci siamo progressivamente spostati a monte: a Castiglione Chiavarese prima, ora siamo qui. Si sta bene, è tranquillo."



Cristina Torrisi viveva a Genova prima della pandemia. Si è ritrovata a Velva per caso, nella casa di famiglia, e lì è rimasta. Oggi presiede un'associazione attiva nel coordinare i vecchi e nuovi residenti per rilanciare il turismo, per ripulire i sentieri, per creare senso di comunità e coesione. Anche se il paese è ancora parzialmente vuoto, in particolare nei mesi invernali, qualcosa sembra essere già cambiato e le persone rispondono, si sono trovate nonostante le limitazioni imposte dalla pandemia, provano a organizzare festival e incontri, si sono attivate e sono tornate a parlarsi. Anche grazie a lei, che per alcuni della zona è ancora una "foresta", venuta da fuori, ma la cui associazione tutti conoscono e rispettano.

"Piano piano ce ne siamo resi conto: qualcosa da fare qui c'é, per tutti. E poi manca quasi tutto e si vive con poco; mentre la città comporta uno stile di vita dispendioso, in un paese come questo se hai un po' di progetti e desìderi fare qualcosa, cambiare qualcosa, è possibile, c'é spazio". Rossana e Alberto ne sono convinti.



Che cos'é allora Velva oggi? Il vezzo di pochi fortunati o la possibilità concreta di ricostruire e riorganizzare una collettività nelle sue differenze, di restituire vita, unità e collaborazione, insomma una visione di futuro a terre altrimenti perdute? È cioè un insieme di fortunate coincidenze amplificate dalle restrizioni dettate dalla pandemia, che in un piccolo paese lontano dalle vie di comunicazione si fanno sentire di meno, o è il sintomo di un lungo malessere che trova finalmente una possibile via di soluzione? E soprattutto, saprà la nuova comunità di Velva superare la dicotomia e le diffidenze tra vecchi e nuovi abitatori, tra cittadini in smart working e lavoratori della terra? Saprà ascoltarsi, conoscersi, capirsi? Ciò che Velva testimonia non è sicuramente un fenomeno globale, ma può essere considerato la spia di un cambiamento in atto o almeno della sua possibilità, seppure ancora su piccola scala? Esiste la possibilità di un'isola?